I
GIRELLA
Dal 14 settembre 1943 la città di Avellino fu
sottoposta a numerosi bombardamenti aerei, che causarono la perdita della
maggior parte del suo patrimonio edilizio e la morte di 3000 cittadini. Infatti a essere colpito a morte dalle bombe sganciate da 36
fortezze volanti americane B 26 fu il cuore della città, gremito di gente
perché era la mattina di un martedì giorno di mercato, da Piazza del Popolo a
Piazza Libertà, a Corso Vittorio Emanuele, al viale Platani. Una
prova dura, segnata da distruzione e da dolore, che ogni famiglia dovette
sopportare e alla quale la città seppe reagire con fierezza e con coraggio.
A causa del ripetersi delle incursioni aeree fino al 21 settembre, molti avellinesi
cercarono riparo rifugiandosi nelle campagne circostanti, nonostante che in
città incombesse il pericolo dei saccheggi.
Il 1° ottobre 1943 passò
presso l’Abbazia di Loreto in Mercogliano una prima
pattuglia di soldati americani diretti verso Avellino. Il loro capo, avendo
sentito durante la notte dei tiri di cannone e che continuavano ancora, chiese a un gruppo di persone, che si trovavano nei pressi,
informazioni sulla provenienza.
Il direttore
della SITA, Leondino Pescatore, che aveva
trovato rifugio con
la famiglia in quel monastero a causa
dei gravi danni subiti dalla sua casa in via Fratelli Del Gaudio, avendo
ricevuto dal Preside Giuseppe Restaino proveniente da
Montevergine notizie sull’ubicazione di una batteria tedesca, appostata a Summonte, cominciò a dare le informazioni richieste,
conoscendo bene la lingua inglese poiché in gioventù aveva dimorato alcuni
anni negli Stati Uniti.
Mentre venivano date
tutte le indicazioni, uno
dei presenti intervenne investendo in malo modo mio padre, imponendogli di smettere di parlare perchè stava
fornendo notizie a dei nemici. Mio
padre, convinto antifascista, replicò che
gli americani erano i liberatori e bisognava informarli per evitare ulteriori guai alla città. Ma il
signore, ancora più eccitato e prendendolo per il petto, ripeté
con forza di ubbidire al suo ordine in virtù della sua autorità,
pronunziando la classica frase “Lei non sa chi sono io!”. Poi in tono altezzoso
si qualificò per un ufficiale dei RR.
Carabinieri precisando il suo grado
superiore.
Così prosegue il racconto
il prof. Vincenzo Cannaviello,
illustre latinista,
autore del bellissimo, ma poco diffuso
volume “Avellino e l’Irpinia nella
tragedia del 1943-44”:
<<...... A tale
presentazione il primo scatta: ”Ora dichiarate la vostra autorità; ma perchè
non la esercitaste mentre avvenivano i saccheggi di Avellino, impedendo tanta
rovina? No, allora smetteste la divisa per rendervi più estraneo ai vostri
doveri e vi squagliaste.....”. L’intervento dei
monaci troncò l’acceso diverbio. Gli americani che intanto avevano assistito alla scena con
l’impressione che quel signore fosse loro ostile, domandarono se fosse un
fascista. “Is he Mussolini’s man? ”. –Yes: è un
uomo di Mussolini- confermò il Pescatore. Ma, quando essi minacciarono qualche cosa di molto grave, fu
proprio il Pescatore a trattenerli.
Dopo qualche giorno l’Ufficiale dei carabinieri, appena ebbe la
percezione della cacciata dei tedeschi, rinnegò la sua fede nel Duce e si
convertì a sentimenti di “amicizia” per gli americani, e, quando ci fu il
ricevimento fatto dalle Autorità avellinesi a quelle statunitensi, fu sollecito
a parteciparvi. E, sostenuto da occulti potenti protettori, riuscì a farsi riconfermare nella
carica >>.
Molto amara e
sdegnata é la riflessione di Cannaviello, a
conclusione del
suo racconto, che, biasimando
severamente le figure meschine degli opportunisti, di coloro che chiamò,
rifacendosi al poeta Giuseppe Giusti, i
“Girella” cioè i facili voltabandiera,
camaleonti politici senza principi e senza dignità, adusi a farsi avanti in tutti i periodi di
trasformazioni politiche e <<smaniosi di sfruttare per proprio
tornaconto qualsiasi situazione>>,
ne stigmatizzò senza
riserve il comportamento, elogiando invece chi con limpida coerenza e con
sacrificio era disposto a sostenere i propri ideali.
Naturalmente nessun riconoscimento toccò a chi, rimanendo coerente con i
suoi valori di libertà e di democrazia, si era
adoperato per la pacificazione degli animi e per l’instaurarsi della
concordia tra i cittadini dopo una guerra civile così cruenta, se non la
soddisfazione postuma di un ricordo e di un encomio da parte del prof. Cannaviello.
E per un uomo semplice ed alieno da ambizioni come mio padre questo
fu il premio più alto.
Gerardo Pescatore
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