LA FORNITURA DELLA NEVE
di Andrea Massaro
le foto sono relative alla nevicata del 1956
Il giorno 11 maggio 1884 il Consiglio comunale di Avellino si riunì nella sala delle adunanze consiliari del Nuovo Municipio, la cui sede da poco si era trasferita nel Palazzo De Peruta, alla Via Irpinia, strada da poco intitolata al grande uomo politico irpino, il giurista Pasquale Stanislao Mancini, da Castelbaronia, scomparso appena da due anni.
In quella seduta il Regio Delegato, Cav. Virgilio Rambelli, sottoprefetto di Ariano, inviato a raddrizzare le sorti amministrative del comune capoluogo, a seguito di una delle tante crisi amministrative che caratterizzarono la vita comunale di Avellino in questo scorcio della seconda metà dell’Ottocento, si interessò anche di un problema solo apparentemente di secondaria importanza, quale quello della fornitura della neve.
Da antica tradizione e consuetudine consolidata nel tempo, alle Università prima e ai Comuni dopo toccava disciplinare la somministrazione della neve alla popolazione durante i periodi estivi. La neve veniva consumata per uso alimentare, con la preparazione di sorbetti e limonate, o serviva per uso terapeutico, usato specialmente nelle emorragie, molte diffuse tra le partorienti dopo paurosi parti complicati. Da qui l’obbligo per l’appaltatore a non rimanere mai sprovvisto del prezioso prodotto caduto dal cielo.
E ancora delle abbondanti nevicate che si riversavano sulla nostra città si dovette occupare il Decurionato (Consiglio comunale) nella seduta del 25 maggio 1852, allorché furono predisposti alcuni regolamenti comunali. L’art. 27 del Regolamento Amministrativo comunale di quell’anno si interessava della pulizia dei marciapiedi e delle strade. Anni dopo, esattamente nel luglio 1865, il Sindaco di Avellino, Domenico Capuano fece affiggere un manifesto con il quale notificava al pubblico alcuni comportamenti da tenere: “I proprietari o fittavoli di case e botteghe sono obbligati di far pulire lo spiazzo posto innanzi alle medesime e nella stagione jemale (invernale), cadendo neve, sono pure obbligati a farla ammonticchiare ne’ laterali delle medesime e segnatamente i proprietari di farne scaricare le tettoie delle case”. Del gelo e della neve si interessava, inoltre, il Regolamento Comunale della Circolazione, adottato dal Podestà il 13 agosto 1940, ove si leggeva: “Durante e dopo le nevicate i proprietari, dalle ore 8 alle ore 20, debbono tenere sgomberi dalla neve i marciapiedi fino alla larghezza di metri 2 in corrispondenza dei propri stabili”. Ai contravventori veniva comminata un’ammenda da lire 25 a lire 100.
Un sistema ingegnoso consentiva alle nostre contrade di approvvigionarsi per tempo della candida neve. Nelle zone più esposte al vento del nord ed in località di fitta boscaglia, non penetrata dai raggi solari, si soleva predisporre capienti neviere scavate nel terreno. La neve stipata così manteneva una temperatura sotto lo zero e si conservava per tutto il periodo estivo. I proprietari delle neviere la rivendevano ai vari bottegai locali, i quali stipulavano con i Comuni appositi capitolati di appalto che variavano nel corso degli anni.
Titolare della privativa comunale di Avellino negli anni 1882 e precedenti, a partire dal 1854, era stato il commerciante Carmine Coppola, con esercizio al Vicolo della Neve, così chiamato per la presenza in loco della bottega addetta alla vendita della neve.
Con la recente trasformazione urbanistica di Piazza del Popolo, Via del Carmine e Via Clausura, oggi è scomparso anche il vicolo cieco ove, nei secoli passati, gli avellinese andavano a rifornirsi del freddo prodotto. A dare il nome al vecchio vicolo è stato il commercio della neve. Nei secoli passati e fino a non molti decenni fa, la neve, pura e candida, che ammantava nell’inverno i monti dell’Irpinia, veniva raccolta e conservata nelle capienti neviere scavate lungo i pendii del Partenio e degli altri monti che svettano nel territorio. Nelle vecchie mappe dei comuni di Mercogliano, Monteforte, Summonte, Ospedaletto ancora oggi si possono vedere i punti interessati dalle neviere. Queste si ricavavano scavando larghe buche nel terreno dove, previo abbondante rivestimento di uno spesso strato di foglie, si ammassava la neve. La sua compattezza e l’esposizione al nord consentivano la conservazione fino ai mesi estivi. Il commercio della neve era di appannaggio comunale. Alcuni documenti ci riportano fatti e circostanze ben precisi su questa non secondaria attività.
Domenico Testa, affittatore della neve di Avellino, nel 1815, chiese lo sconto di un tornese sulla gabella e la questione interessò la Gran Corte dei Conti di Napoli.
Il solerte Cav. Rambelli, quindi, era ben conscio dell’importanza che rivestiva l’argomento posto all’ordine del giorno dell’11 maggio 1885 che trattava il nuovo capitolato della neve.
Intanto due aste pubbliche precedentemente tenute per l’affidamento del dazio sulla neve erano state dichiarate deserte per mancanza di offerte.
Considerato, frattanto, che l’inverno 1883 - 84 si era mostrato alquanto mite, per cui scarseggiava anche la neve, con serie preoccupazioni per il rifornimento, il Commissario ritenne opportuno invitare il commerciante Coppola a fare un’offerta accettabile e continuare la privativa della neve. A fronte delle lire 3.000 annue richieste dal bando, Coppola offrì la somma di lire 2.000 annue, anche perché, come detto, le scarse nevicate dei periodi precedenti avrebbero costretto il titolare a “mandarla a prendere negli alti monti, essendo esaurite le provviste dell’inverno 1882 - 83, con aggravio di spese per l’appaltatore”.
Una serie di motivazioni indussero il Cav. Rambelli ad accettare l’offerta. Le ragioni dell’accordo andavano ravvisate “alla mitezza dello scorso inverno” e sulla malaugurata ipotesi che la città “rischierebbe di veder mancare la neve, il che produrrebbe gravi lagnanze e reclami da parte dei cittadini”. Da qui l’accordo sottoscritto per gli anni seguenti. Malgrado le tante cautele, l’anno dopo scoppiò un grave fatto di cronaca che interessò l’amministrazione e la pubblica opinione.
Nel 1885 ad una partoriente capitò una forte e irrefrenabile emorragia che fece gridare al disservizio per la mancata disponibilità della neve da parte del gestore, obbligato ad avere una scorta di almeno un quintale. All’epoca il prezzo corrente della neve era fissato a 10 centesimi (di lira) al chilogrammo.
Nel 1910, al Vicolo della Neve gestiva il servizio di fornitura la concessionaria Carolina Basile, ved. Vietri. Nel capitolato di appalto del 1914 si prescriveva al concessionario di fornire la neve a chiunque, sia di giorno che di notte.
A decretare la scomparsa delle neviere e del prodotto naturale, è stata poi la fabbricazione industriale del ghiaccio.